Il giovane Cristopher e il vecchio Cnemone

di Mariagiovanna Ferrante

Sono un’insegnante. Di Latino e Greco. Ecco qua: la vedo, la faccina Messenger che è comparsa sulle vostre teste con tanto di “mamma mia” di accompagnamento.
Però vi assicuro che non sono (ancora) vecchia, non peso cento chili e non ho i baffi.
Appartengo alla generazione masochista dei docenti precari che continuano ad amare ciò che fanno, nonostante la Gelmini e nonostante la stanchezza. Già, perché siamo stanchi. Stanchi di essere l’ultima ruota del carro, stanchi di dover sperare ogni anno di poter lavorare, stanchi di tornare disoccupati alla fine di ogni anno scolastico.
Un altro lavoro? Non mi sono mai vista in modo diverso. Cosa mi permette di andare avanti? Non certo lo stipendio!
Capita che molte volte mi interroghi sul senso dell’insegnamento di discipline come le lingue classiche, ossimoriche nell’era del Santo Web, e di Maria De Filippi, in cui i gioiosi fanciulli occupanti i banchi preferirebbero trovarsi di fronte il buon Peppe Vessicchio (con tutto il rispetto per il conterraneo) o quel bonazzo di Kledi per essere valutati in canto e danza, piuttosto che in un’esposizione su Omero o Callimaco.
Eppure … eppure capita di essere sorpresi.
Quest’anno mi è stata affidata quella che il Dirigente Scolastico ha definito una “classe difficile”: troppo vivaci, troppo rumorosi, sempre a rischio sospensione.
Io, che sono stata anche in un istituto professionale in quel di Frattamaggiore, non mi sono scomposta più di tanto, pur vedendomi costretta a indossare la maschera della prof. severa.
E in effetti sono ragazzi vivaci, ma lo sono anche intellettualmente.
Tutti, anche lui.
Il classico belloccio-ricco-figlio di papà, che ama farsi guardare e che anima la monotona vita scolastica con battute di ogni tipo (non ultima l’osservazione sul deficit visivo di Leopardi, dovuto, a suo avviso, a un eccesso di onanismo).
Il primo compito di greco è stato un disastro (“prof., nutro avversione per la versione”, mi ha detto, consapevole di giocare con gli artifici delle figure retoriche), così come la prima interrogazione.
Io so che E. non è affatto uno stupido, come vorrebbe far credere. Ma lui preferisce fare l’animatore nei villaggi turistici, esibirsi come “buffone di corte”, avere gli occhi puntati su di sé.
E allora lo sfido, sul suo stesso terreno.
“Facciamo una cosa, E. – gli dico una mattina-, la prossima volta che ci vediamo, tu vieni al posto mio e tieni una lezione su Menandro e gli autori di età ellenistica. La gestirai come meglio ti sembrerà.
E. sgrana i suoi occhioni da furbo adolescente e accetta (“a disposizione, prof.”), ma non mi chiede il perché.
Passa una settimana, durante la quale più di una volta tempo che il pargolo non si presenti all’appuntamento.
Appena entro in classe, E. è presente, pronto a tenere banco. I compagni di classe sono pronti ad assistere all’ennesimo show dell’animatore, ma io so che mi posso aspettare qualcosa di buono.
E qualcosa di buono avviene.
E., stranamente serio, mi presenta il percorso che ha deciso di seguire per studiare la Commedia Nuova: la ricerca della felicità.
E inizia ad argomentare in merito alla tematica della mancanza di felicità nell’uomo e della spasmodica ricerca di essa, riflettendo sull’evoluzione dei personaggi del teatro di Menandro e collegandosi con il percorso interiore del protagonista del film di Sean Penn, Into the wild. Lo ricorda nei minimi dettagli, e con padronanza riflette sulle differenze tra il giovane Cristopher (il protagonista del film) e il vecchio Cnemone, intorno al quale ruota la trama del Misantropo dell’autore greco. Per sottolineare, attraverso la citazione di una frase del film, che entrambi giungono a una conclusione simile: “La felicità è reale solo quando condivisa”.
Continua parlando di intrecci e di agnizioni, non trascurando l’apporto della commedia d’intreccio alle nostre soap opera, né i paragoni con il panorama musicale attuale.
Che dire?
Sorrido, e chiedo a E. se ha compreso il motivo della mia richiesta di una sua performance.
“Mah, veramente vorrei che me lo dicesse Lei”.
“Beh, E., volevo dimostrare a me, ma soprattutto a te, che non sei il cretino che ti piace sembrare. E sono convinta che ti sei anche divertito, nell’impostare la lezione così come è venuta fuori”.
“Vero, prof. Mi è piaciuto studiare così. Quasi quasi…mi metto a studiare sul serio.”
So che ci vorrà un bel po’, prima di vedere mantenute le promesse di un liceale che sembra uscito da una mini-serie per la tv. Ma mettere in luce le sue potenzialità è un risultato che incoraggia ad andare avanti nel proprio percorso. Nonostante tutto.

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8 thoughts on “Il giovane Cristopher e il vecchio Cnemone

  1. Marigiò, il tuo racconto mi fa sorridere e riflettere. Tanto più in un giorno come quello di oggi, in cui si continua a caricare e a insultare chi vorrebbe una scuola migliore, piena di esempi come il tuo. Grazie per il lavoro che fai, per come lo fai, per non arrenderti… la nostra scuola ha bisogno di chi, come te, punta sul futuro e non sul presente di una qualunque trasmissione televisiva che promette fama aleatoria e insulsa.

  2. Mariagiovanna con il suo ottimo e intelligente esempio, conferma l’idea che mi sono fatto in questi anni di come debba evolvere il sistema educativo e ruolo/concetto di insegnanti.

    Un po’ più facilitatori e un po’ meno insegnanti 🙂

    L’apprendimento è un fenomeno complesso ma mai quanto la conoscenza; e questa non c’è la può servire nessuno, come se fosse una pietanza. E’ una ricerca personale che dura l’intera vita. Mariagiovanna ha fatto quello che penso sia veramente utile: agevolare, stimolare, aiutare ad accedere a blocchi di conoscenza; senza servirli già pronti. Questo è, secondo me, il ruolo dei docenti. Facilitare i giovani a costruire il proprio percorso il più possibile trans-disciplinare. I “programmi” ed il percorso dovrebbero essere ad-personam, in parte auto-costruiti, con l’aiuto costante dei facilitatori ex-insegnanti.

    Il Web potrà permettere tutto questo se sapremo difenderlo dagli Umanosauri; Blocchi di know-how sono già liberamente accessibili in maniera disintermediata, migliaia e migliaia di persone sono pronte a spiegarti il teorema di Pitagora, la legge di Gresham o le ragioni della Prima guerra mondiale.
    Le più grandi università mettono online corsi in elearning, materiali, documenti e test.
    Il web potrà darci la scuola ad.personam, la “mia scuola”, diversa dalla “tua” perché intimamente mia, ed intimamente tua.
    Si deve da passare da un “un programma valido per tanti” a “tanti programmi validi per uno solo”
    La formazione è continua ed è un lungo percorso iniziatico.
    Ovviamente sto scherzando….

  3. Brava Marigiò, ce ne vorrebbero tante come te!
    Sarebbe confortante sapere che i tuoi figli escono di casa per essere educati all’istruzione e non solo istruiti a pappardella. Hai donato a quel ragazzo una ricchezza infinita!

  4. Vorrei tante Mariegiovanne in più a scuola…invece…ce le perdiamo ogni anno!!!!
    I precari hanno,secondo me, una marcia in più , e non solo perchè sono giovani(non sempre!!!!) ma perchè devono “inventersi ” il mestiere ogni anno. Credo che il cambiare scuola e clasee ogni anno, sia più uno stimolo che un problema, devono in poco tempo :
    -conoscere della classe
    -impostare del lavoro
    -svolgere (brutta parola!) il programma
    -stmolare gli alunni a conoscere, ad essere curiosi
    -intervenire sui “difficili” ora e subito
    e poi,a fine anno, lasciano un’intera classe con un carico di stima reciproca quasi infinita.
    Noi “di ruolo”, passati i primi furori, un po’ ci adagiamo, pensiamo che tanto possiamo riprendere il discorso l’anno dopo…
    c’è sempre data una seconda possibilità.
    E’ vero , è capitato anche a me , gli alunni delle classi più vivaci lo sono anche intellettualmente, si fa tanta fatica, ma i risultati sono sbalorditivi!!!!
    Non mi piacciono gli alunni “troppo buoni”, sono un po’ noiosi, quasi sempre studiosissimi, e mi sento inutile!
    Un paio di anni nelle scuole di periferia dovrebbero essere un tirocinio obbligatorio per tutti i prof, ma non tutti hanno avuto questa fortuna…
    Solo una domanda , come hanno reagito i compagni a questa lezione?
    Io lo so!
    Tutti zitti con la bocca aperta!!!

  5. Mariagiovanna, hai fatto la cosa giusta.
    Dopo aver rilevato le tendenze istrioniche dell’allievo, ossia il suo “bisogno” di essere al centro dell’attenzione, hai magistralmente usato a tuo favore la forza del”nemico”, con grande risultato. Brava davvero.
    Giancarlo Iorio

  6. IN QUESTI GIORNI DI FERMENTO, di spinte verso un’uscita dal torpore verso il basso,di trepidazione per questa apertura alare verso l’alto che si riempie di attese,come fogli di sogni da riempire di senso… incappo nella luminosità del tuo agire pedagogico Mariagiovanna e sorrido, finalmente!
    Sorrido all’effetto E.,al momento in cui avviene lo stamparsi nell’immaginario degli altri ragazzi di un passaggio di ruoli: E. cambia pelle, come un personaggio da cartoon, da eroe negativo a divulgatore di conoscenze e competenze nascoste.Una mutazione che hai diretto con la maestria del prestigiatore, una prof che sa catturare nell’altro una parte sottotraccia: quel desiderio di essere protagonisti delle strategie che permettano di fissare le informazioni plurime del fuori-programma imposto,fino a integrarle arricchendole, in un gioco stupefacente.Sorrido alla possibilità che ogni ragazza e ragazzo che spesso ributtiamo nella mischia del mercato, con una etichetta di “bullo” possa aver l’opportunità di incontrar delle Marigiò togli-etichette! Grazie! Buon gioco!

  7. Quando Moretti chiama a rapporto, non posso esimermi dal rispondere all’appello. Anche perché Vincenzo sa che non potrei restare indifferente all’argomento: scuola!
    Perciò mi dispongo subito ad intervenire nella nobile discussione. Sono appena tornata da una passeggiata serale, per andare dalla zia, alle prese con il digitale terrestre; la brezza serale mi ha ritemprato e rinvigorito dopo un lungo pomeriggio speso ad adempiere doveri scolastici. Il primo durato un paio d’ore nella paziente attività dei colloqui con i “visitors”, cioè genitori desiderosi di conoscere l’andamento dei loro pargoli; tuttavia la frase idiomatica, che da noi si usa, è “andare a parlare con i professori”, non ascoltare…
    Il secondo “ben più soddisfacente” lavoro quotidiano è stato quello di orientamento presso la scuola media “in” della città; ebbene ho passato due ore a guardare i muri, mentre onde “oceaniche” di padri e madri si snodavano davanti ai docenti liceali. Ben lo so che i genitori del “centro” non manderebbero mai le loro creature in un istituto tecnico, ma che ci posso fare? Ad un certo punto un’insegnante ed il Preside della scuola si sono sentiti in dovere di venirmi a fare compagnia.
    I miei studenti vengono prevalentemente dalle isole, parlano sconosciuti e vetusti idiomi, tanto da sentirmi obbligata, ogni tanto, ad insegnare loro il dialetto vero; per quanto riguarda l’italiano ci ho quasi rinunciato, una partita persa. Arrivano intirizziti ed assonnati, dopo un’attraversata in battello, in questo periodo in mezzo a nebbie assassine. Giunti in classe devo fare io lo show per mantenerli svegli ed evitare che le loro teste ciondolino e le palpebre si appesantiscano: non ho ancora fatto uno spogliarello, per non incorrere in problemi con l’ordine costituito, ma il resto sì. Per me la classe vivace, anche intellettualmente, resta un sogno!
    Qualcuno studia, qualcuno è intelligente, molti sono simpatici, ma i loro interessi vagano da una trasmissione demenziale ad un’altra. Tuttavia non mi lamento: ho qualche ragazzo in gamba in quinta, qualche altro bravo in seconda, la mia splendida classe multietnica, dove spiccano per bravura, nelle mie materie due ragazze cinesi. La terza la definirei, invece, una “sporca dozzina”, costituita da un gruppo di debosciati, snervanti, inconcludenti studenti, che non riesco ad interrogare, neppure sotto tortura.
    Eppure io ogni volta mi affeziono, a tutti, e cerco di dar loro quello che posso, con risultati il più delle volte minimi! Ciononostante con loro mi diverto e continuo a divertirmi, lasciando i miei sogni passati, le mie aspettative, i miei progetti nel cassetto. Li accetto così come sono, primitivi, zotici, immediati, ma spesso con cariche d’affetto quasi commoventi…scusate la retorica!
    Plaudo anch’io all’entusiasmo di Mariagiovanna, precaria arrabbiata ma volonterosa che ha ragione nel dar loro “il meglio”, perché anche gli adolescenti sanno distinguere una gemma da un sasso, anche se millantano indifferenza e noncuranza.

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