Come quasi tutti i proverbi, napoletani e non, anhe questo del titolo viene utilizzato in molti modi, uno dei più grandi filosofi del novecento, Pasquale Moretti, come lo chiama mio fratello Antonio da quando nostro padre non sta più da queste parti, lo utilizzava come minaccia, anzi no, come avvertimento, perchè papà non minacciava, quando diceva una cosa la faceva, e devo riconoscere che in vario modo l’abbiamo ereditata tutti questa brutta abitudine.
La faccenda funzionava così. Tu facevi una cosa che lui riteneva sbagliata, e lui ti diceva di non farla più. Tu la rifacevi, e lui che anche se gli avessi spiegato cos’era il libero arbitrio ti avrebbe risposto che fino a quando stavamo in quella casa comandava lui, ti diceva “guagliò, attenzione, trica trica e vene pesante”. Era il codice rosso in salsa nostrana, da quel pnto in poi sapevi che prima o poi, continuando così, le avresti prese di brutto. Non si poteva scappare, dovevi decidere le priorità, se era meglio fare e pagare il conto o era meglio rinunciare. E ognuno di noi naturalmente decideva di volta in volta. Per me ad esempio funzionava più o meno così: occupazione della scuola? fare e abbuscare; concerti rock (dai 14 ai 18 anni, che non è che fosse un tiranno il mio papà)? Idem come sopra. Brutto voto a scuola? Studiare di più e migliorare al più prestp perchè altrimenti erano dolori di quelli seri, seri seri.
Ora voi vedetela come vi pare, ma io spesso penso che se mi sono innamorato del processo decisionale a tal punto da propinarlo ai miei studenti del corso di sociologia dell’organizzazione e soprattutto se ho imparato bene l’importanza dell’asse libertà di scelta, valutazione di vantaggi e svantaggi, assunzione delle responsabilità conseguenti, disponibilità a godere dei vantaggi e a pagare i prezzi delle scelte che si fanno lo devo molto anche a lui, al nostro grande filosofo con la quinta elementare.
Adesso voi non ci crederete, o forse si, perchè in fondo accade lo stesso anche a voi, tutto questo mi è tornato in mente pensando alle traversie che stanno accompagnando Bella Napoli, che sarebbe dovuto uscire il 26 gennaio, poi il 3 febbraio, e invece ancora non si vede in giro. Ora, dato che in questo periodo non è che mi gira proprio per il verso giusto, niente di che, è che sono proprio io che vado a tre, che batto in testa, come dice un mio amico meccanico, mi stavo facendo prendere dal nervosismo quando mi sono detto, “Viciè, nun ce pensa’, trica trica e vene pesante, vedrai che Bella Napoli sarà un successone”. Sarà la potenza di papà, ma mi sono messo a ridere e mi è passato tutto. Intanto stasera me ne vado a Piano di Sorrento assieme a Viviana, Cinzia e Francesco presentare Uno, doje, tre e quattro, che quello un successone lo è già.
Il “trica trica” ricorda il nostro “demi demi”: il modo di dire è “nà’n gir a cantà’l demi-demi”, andare in giro a cantare “datemele, datemele”, un cercare le botte con il nostro comportamento ripetutamente sbagliato – o ritenuto tale. Su Radio Monte Carlo c’è una dee-jay che dice “scrollare l’albero degli schiaffoni”.
Ecco, Vincenzo, tu continua a studiare che poi avrai i bei voti, e lascia perdere tutto il resto: “Bella Napoli” non può che essere un altro successo, e lo dico con cognizione di causa, avendone gustato stralci in anteprima. E fai sventolare la bandiera con i quattro numeri, mi raccomando!
Una volta proprio a Napoli, all’ospedale “Cardarelli” dovevo sottopormi ad un intervento lungo e delicato. Il giorno prima della data stabilita, a preparazione già avvenuta, la sera mi fu detto che l’intervento saltava e dovevo aspettare ancora tre giorni. Come avrei fatto a mitigare l’ansia, a trascorrere ancora tre giorni nell’attesa? Mi sentivo triste, demoralizzata in quella camera, da sola o meglio in compagnia di tanti piccoli insetti che girovagavano allegramente sotto il letto e per la stanza ( camminavo con i pantaloni del pigiama a più risvolti per il timore che vi si arrampicassero). Un’altra degente di una stanza vicina che aveva ascoltato l’infermiera che mi comunicava la cosa, entrò da me e mi disse ” Nun c pensat! Ogn impedimentu è giovamentu! trovatuvene cuntenta. Se trica vole rice che a così edda i'”.
Ebbe ragione.la cosa andò meglio di quanto si prevedeva.
Dico lo stesso a lei, prof. Ogni impedimento è giovamento!